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Avvocati e la sindrome del burn-out

Il termine burn-out, traducibile in Italiano come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, appare nel gergo del mondo dello sport nel 1930 per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, ad ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti. Viene poi ripreso nel 1975 dalla psichiatra americana C. Maslach per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.


Negli ultimi decenni, alcuni studi multidisciplinari condotti da equipe di esperti di numerose associazioni forensi e scientifiche hanno ricondotto questa sindrome anche in ambito socio-forense, dimostrando che alcune professioni “di aiuto” come avvocati, assistenti sociali e magistrati, spesso accusano i sintomi ed i malesseri da stress lavorativo specifico delle helping professions, che sono basate sulle interazioni e sui rapporti interpersonali e sono caricate da una duplice fonte di stress: quello personale e quello della persona (o della collettività) che rappresentano.


Il momento in cui molti avvocati si rivolgono ad un specialista, è spesso quello in cui si sentono ormai falliti ed "esauriti". Depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale, senso di inadeguatezza, desiderio di scappare e "mollare tutto"... sono tra i sintomi tipici di un esaurimento emotivo. 


Chi soffre di burn-out, attraversa un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica (mancanza di energie, incapacità di sostenere lo stress accumulato), per cui vorrebbe prendere decisioni drastiche, spinto dalla disperazione, piuttosto che da una ispirazione o da una forte motivazione propositiva. Poiché il pensiero, in questi casi, manca spesso di chiarezza, è importante prendersi del tempo per riflettere.


Nella professione dell’avvocato vi sono molteplici fattori di rischio che inducono ad uno stress psicofisico: la perentorietà delle scadenze, la tensione delle udienze, gli incontri coi clienti ed i colleghi, la sofferenza e la litigiosità delle parti coinvolte.


Le cause generiche del fenomeno più frequenti sono: pressioni di varia natura, sovraccarico di lavoro, competitività, necessità di tenersi costantemente aggiornati, difficoltà di coniugare vita provata con obblighi professionali, relazioni interpersonali spesso esasperate e con persone difficili... In aggiunta a questi fattori di stress esogeni, ci sono, evidentemente, elementi e tratti della personalità che possono rendere gli avvocati meno inclini a sopportare lo stress e le dinamiche tipiche della professione. Tra questi, il più significativo è il "perfezionismo".


Dal momento che la pratica della legge richiede un'analisi logica oggettiva e un'attenzione ai dettagli, la professione legale attira i perfezionisti i quali, spesso visti come inflessibili e poco inclini al cambiamento, tendono ad essere maniaci del lavoro, ossessionati dal controllo pur non essendo convinti di possederne. Poiché la perfezione non può essere raggiunta, lottare per essa può essere motivo di costante insoddisfazione.


Un'altra ragione per cui alcuni avvocati vivono l'esperienza del burn-out è legata al fatto che i valori e i principi fondamentali non sono sempre in linea con i comportamenti adottati. A volte questo problema si traduce in un conflitto psicologico interno, da cui deriva un cronico senso di colpa e un perenne sentimento di infelicità.


E’ fondamentale quindi imparare tecniche e strategie per riconoscere lo stress e per gestire con consapevolezza il proprio stato emotivo evitando di farsi travolgere da emozioni negative legate alla professione stessa e trasmesse dai clienti.




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